lunedì 16 aprile 2012

Lo scivolo non basta

L’utilizzo dei diversi servizi presenti sul territorio è indicativo del grado d’integrazione sociale e di coinvolgimento alla vita quotidiana di tutte le persone; se noi consideriamo la città come la forma di governo più vicina ai cittadini e sicuramente a lei che spetta il compito di fare in modo che i beni e i servizi presenti sul territorio siano in grado di rispondere alle esigenze di tutti.

Un grande filosofo scriveva” di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie ma la risposta che da ad una tua domanda.

In questo contesto molti, pensando alle persone diversamente abili, pongono di diritto il problema delle barriere architettoniche che, seppur largamente riconosciuto e molto sentito da tutte le amministrazioni comunali, sviluppa di solito una serie di soluzioni progettuali finalizzate tuttavia a risolvere principalmente il problema negli edifici pubblici o nelle zone pedonali.

Tutto questo ignorando però che la facoltà di libero accesso, alle risorse sociali, allo sport, agli spazi di verde pubblico, di svago e di divertimento, rientra fra i diritti fondamentali di tutti gli individui e quindi anche delle persone diversamente abili.

Questo sistema di agire è il tipico risultato di un antico pensiero che esprime una riduttiva convinzione sulle necessità essenziali di alcune persone.

Ancora oggi si fatica a considerare, la partecipazione sociale, come un bisogno
primario che passa sì attraverso lo scivolo sul marciapiede e la porta più larga ma che poi trova la sua massima espressione nei luoghi, teatro da sempre, dell’età evolutiva di ciascuno di noi.

Il vero problema sono quindi le barriere mentali e culturali che si sono create intorno a queste persone e che purtroppo trasformano la disabilità in handicap relegando le stesse inevitabilmente in una condizione di emarginazione sociale.

Per eliminare questo tipo di barriere è necessario avviare un processo di grande cambiamento culturale che deve mettere la persona, in quanto soggetto fisico con tutti i suoi diritti, al centro delle nostre attenzioni.

La strada verso l’integrazione impone anche un diverso modo di intendere la persona diversamente abile che, non và vista solo come soggetto adulto, ma soprattutto come un bambino o un adolescente con tutte le necessità, le esigenze e i problemi che lo accompagneranno durante la sua crescita compreso quindi il diritto di giocare, divertirsi e frequentare gli spazi di socializzazione in un processo attraverso il quale formerà il proprio carattere sviluppando la propria identità.


lunedì 2 aprile 2012

Progetto di vita

Art.1 legge 328

 La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. (L.328)

In questo articolo si fa riferimento alle condizioni di bisogno delle persone, ma si parla soprattutto di qualità della vita, pari opportunità e di diritti.
La riflessione la vorrei fare ponendo le due questioni Diritti e Bisogni su piani differenti.
Va ricordato che mentre i bisogni sono per definizione individuali, i diritti, sempre per definizione, sono collettivi.
Nel corso degli anni, a partire dalla scrittura della nostra costituzione, a cui a fatto seguito la Convenzione Onu sui diritti dell’uomo, abbiamo sentito più volte il bisogno di ribadire i diritti del suo elemento unico fondante; l’uomo.
Ecco allora una convenzione contro la discriminazione razziale, contro la discriminazione nei confronti della donna, contro la tortura, a favore dei diritti dei fanciulli, a favore dei lavoratori migranti e delle loro famiglie e, ultima di tempo, a favore dei diritti delle persone con disabilità.
Queste ulteriori, e comunque importanti, specifiche convenzioni trattano di aspetti che fanno parte, dell’essere umano, perché le persone di tutte le etnie e culture sono uomini, perché le donne sono umanità, perché i bambini sono futuri uomini, perché i lavoratori e le persone che dipendono dal frutto del lavoro sono uomini, perché le persone disabili sono uomini. Ma allora perché il bisogno di altre convenzioni? Perché agli stati progrediti, democratici, tecnologicamente avanzati, va ribadito il concetto dei “diritti dell’uomo”?
Forse perché si è lasciato campo ad una cultura che marcava le differenze e ad uno stato sociale che per distinguersi aveva bisogno di creare differenze.
Ma quali sono le reali differenze fra le persone oggetto di tali convenzioni, le cosi dette più deboli e gli altri?  Nessuna nella sostanza.
Ma c’è però qualcosa che li accomuna e che si chiama “progetto di vita”  e che accompagna ciascuno di noi. Prefigurarsi un progetto di vita non è appannaggio solo di pochi, ma una necessità di tutti.
Certo, esistono poi delle variabili che possiamo riportare come specificità per i soggetti più deboli e che sono le strategie necessarie, da mettere in campo perché il progetto si realizzi. Questa dovrebbe essere la competenza dei servizi, degli enti, delle professionalità coinvolte. Trovare strategie mirate, create ad hoc perché il progetto possa svilupparsi e crescere con la persona, ciascuno con tutti i suoi limiti.
Il disabile ha il diritto di stare in società mentre non è un diritto della società decidere di integrarlo. Io parto dal presupposto che quel bambino deve stare a scuola, così com’è; è difficile? Allora io intervengo sul come trovare le strategie.”
Continuare poi a parlare di inclusione è sbagliato, cosi facendo si rafforza la convinzione che c’è qualcuno che sta fuori.
Serve fare comunità, con una politica sociale che operi con interventi affinché nessuno resti escluso. Un progetto di vita che renda la persona parte di tutto.
La città, che è la forma di governo più vicina ai cittadini, ha il compito di promuovere e sostenere questo progetto, in tutte le sue forme e dinamiche, e come se prendesse il cittadino per mano fin dalla nascita per accompagnarlo nelle fasi della sua di vita, fino al delicato periodo della vecchiaia, adoperandosi affinché i Diritti non si trasformino in bisogni.
E all’interno di questo progetto si incastra tutto il resto.
Il progetto di vita, quindi, è il vero (e forse unico) elemento unificante tra le persone: il progetto di vita dovrebbe dunque costituire lo strumento principale attraverso il quale una politica sociale mette al centro la persona tenendo conto delle diverse fasi della sua vita.
Questo è lo stile che dovrà differenziale la politica sociale del futuro, passando attraverso un doveroso confronto sulla politica del presente. Se non si farà questo si continuerà a dar voce a chi, per garantire la normalità, crea insanabili disuguaglianze.