martedì 11 dicembre 2012

Progetto Quartiere Cantalupo

Questo è il testo del mio intervento in aula (10/12/2012), sull'oggetto Quartiere Cantalupo


Grazie sig.Presidente

la mia diversa abilità in materia urbanistica se da un lato mi esonera dal parlare in termini tecnici in merito all'oggetto in discussione, al tempo stesso mi stimola alcune considerazioni di carattere sociale sul titolo e sulla sua ricaduta in termini sociali per il quartiere e per la città.

Anche in questo caso si è ampiamente parlato di consumo del territorio.

E questo mi da l'occasione di sottolineare ancora una volta che per il nostro gruppo il territorio è un bene comune che se tutelato, curato e messo in valore, può aprire inesplorate possibilità per lo sviluppo della nostra città, oltre che migliorare

la qualità dell’ambiente di vita dei cittadini.

Senza dimenticare che, parlando di urbanistica, se indirizzata verso obiettivi di interesse pubblico e opportunamente rinnovata nei contenuti e strumenti, può aiutare a fornire risposte adeguate alle domande sociali di case, verde, servizi, mobilità sicura e confortevole.

In un intervento che mi ha preceduto si è fatto riferimento ai molti appartamenti vuoti presenti in città, elemento questo che contra con la necessità di avere nuove costruzioni.

Un affermazione in parte vera ma se, come ho sentito negli interventi che mi hanno preceduto, conveniamo tutti che c’è un’area grigia nel disagio abitativo che comprende famiglie e individui che non hanno i requisiti per accedere ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica ma non possiedono nemmeno le risorse per accedere al libero mercato degli affitti.

non solo ci diamo la risposta da soli, ma nel contempo apriamo l'orizzonte al nostro obiettivo di programma che rimane quello di puntare su progetti di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile incrementandone la disponibilità così da migliorare l’equipaggiamento infrastrutturale dei quartieri caratterizzati da forte disagio abitativo.

Il “diritto alla casa” è uno dei punti cardine del nostro programma. Abbiamo tutti la consapevolezza che il problema casa include ormai migliaia di famiglie e nuovi soggetti quali, giovani, studenti, immigrati, sfrattati e genitori separati, che hanno il diritto di vivere in un alloggio adeguato e in un ambiente di qualità.

In questo contesto nascono i contratti di quartiere finalizzati ad incrementare la dotazione infrastrutturale dei quartieri periferici dei comuni a più forte disagio abitativo, per favorire l’integrazione sociale e l’adeguamento della offerta abitativa attraverso la sperimentazione di nuove modalità di riqualificazione edilizia.

Riqualificazione edilizia che passa attraverso il risanamento del patrimonio edilizio esistente, il miglioramento della qualità ambientale e la realizzazione di residenze a basso costo e servizi.

Qualcuno ha opportunamente parlato di interventi di recupero su aree dismesse, nulla da eccepire, se non evidenziare ancora una volta la differenza di costi di investimento da parte dell'impresa (bonifica area), la difficoltà nel concordare l'eventuale scambio di aree e, in questo specifico caso, la non disponibilità di questa tipologia di aree nel quartiere interessato. Mi sento però di raccomandare (anche se fuori argomento) l'intervento per la ristrutturazione degli alloggi vuoti di proprietà del comune (che risultano essere 70 ) intervento che permetterebbe di dare una risposta al 10% delle richiesta che risultano essere 700. E questo non'è sicuramente cosa da poco.

Ho sentito poi affermare che questo non'è più il contratto di quartiere Cantalupo così come era stato progettato. Nulla di più vero, anch'io che non ho competenze urbanistiche so notare le differenze e sopratutto so contare. E allora registro che in origine era prevista la costruzione di 14 nuovi edifici ed'è bizzarro che oggi ci sia qualcuno che si esprima in modo contrario alla realizzazione di sole quattro palazzine.

Ci si chiede poi quali siano le azioni e le cessioni di carattere sociale collegate a questa operazione.
A tale proposito ricordo che nel contratto di quartiere Cantalupo erano previsti 3 Assi di intervento (Edilizia Residenziale Pubblica, verde e servizi, incontri a tema, centro Polifunzionale,ecc)

Credo di non sbagliarmi nell'affermare che questi Assi di intervento, di natura strettamente sociale, restano ancora attivi, ricalibrandoli naturalmente alla disponibilità di cassa che è stata fortemente penalizzata da una serie di azioni che evito di riprendere.

vorrei concludere con una citazione che ci ha regalato il cardinal Martini

La meta del cammino umano non è ne’ un giardino ne’ la campagna, per quanto fertile ed attraente, ma la città. E’ la città descritta nell’Apocalisse, con dodici porte, lunga e larga dodicimila stadi; una città dunque in cui sono chiamati ad abitare tutti i popoli della terra. Di giorno le porte non saranno mai chiuse e non ci sarà più notte (Ap 21,25).

Non occorre necessariamente avere davanti agli occhi una città ideale, ma almeno un ideale di città. Una città fatta di relazioni umane responsabili e reciproche, che ci stanno dinnanzi come un impegno etico. La città non è, dunque, il luogo da cui fuggire a causa delle sue tensioni, dove abitare il meno possibile, ma il luogo nel quale imparare a vivere. (…)”

Dobbiamo sforzarci di pensare le nostre periferie come fossero le porte della nostra città ideale ed avere una visione che produca senso, che tenga insieme, che intervenga sulla forma della città per renderla adatta alla forma della civitas.

Una città capace di generare modernità e senso che si sviluppa attraverso una visione adattiva e non regolativa e basta, capace di “corrompersi” alla luce delle dinamiche e delle opportunità che cambiano. Se faremo questo sarà il segnale che stiamo viaggiando sulla buona strada.

franco monteri

martedì 2 ottobre 2012

Farmaco equivalente


Con l'entrata in vigore delle nuove norme in materia sanitaria, i medici devono scrivere sulle ricette il principio attivo e non più il nome del farmaco.

Uno dei farmaci in questione è il KEPPRA. Inibitore delle crisi epilettiche e quindi considerato SALVAVITA.

Fino a qualche giorno fa il farmaco era in convenzione con il servizio sanitario e quindi, per gli esenti, a costo 0. Ora, essendo scaduto il brevetto, in commercio ci sono         (o dovrebbero esserci) i famosi farmaci equivalenti o principi attivi con la conseguenza che chi vuole il Keppra oggi lo paga 44Euro di ticket la scatola.
In ragione di questo in parecchi sono andati in sofferenza, per la difficoltà di sostenere un costo così alto. Si parla di una media di 100 Euro al mese.
Il servisio sanitario rimborsa alla farmacia il farmaco al prezzo più basso.
Tutto questo cambiamento ha creato due grossi problemi ai cittadini:
ci sono alcuni che su diagnosi del medico, non possono cambiare il farmaco e, potendolo fare, si vedono costretti ad affrontare una grossa spesa mensile
Di contro, ci sono altri che per ragioni di bilancio familiare hanno deciso di rischiare con il farmaco equivalente (la copertura certa è dell'80% e per molti il 20% scoperto è un rischio molto alto). Questi ultimi si sono però scontrati con l'impossibilità di reperire il farmaco, essendone sprovviste le farmacie. Il più delle volte si sono sentiti rispondere che i distributori non consegnavano il prodotto o che era difficile da far arrivare.
Non mi pare questa una situazione da paese civile. Stiamo giocando con la pelle delle persone. Mancano le risposte sull'affidabilità del farmaco equivalente.
Non'è possibile sentirsi dire: "lo provi, poi vediamo la reazione".
Per quanto riguarda le scorte, penso che tutte le farmacie debbano dotarsi del farmaco equivalente. Nessuno compra a caso ma ci si base sullo storico venduto. In questo caso è troppo facile ipotizzare che è un escamotage per poter esaurire per primo le scorte del farmaco originale.
Non possiamo discutere la legge o le disposizioni Regionali in merito ma, una raccomandazione alle farmacie comunali, questo lo possiamo fare.
Queste devono dotarsi del farmaco equivalente e, in caso di impossibilità, continuare la distribuzione del farmaco originale al ticket più basso. E' una questione di civiltà.

lunedì 24 settembre 2012

Chi nasce in italia è italiano 2

Nella seduta del Consiglio Comunale di Lunedì 17, dopo una decisa e partecipata discussione, è stata approvata la mozione Chi nasce in italia è Italiano, a maggioranza dei presenti.
Una lezione di civiltà.

martedì 17 luglio 2012

Chi nasce in Italia è Italiano

Mozione presentata in Consiglio comunale il 16/07/2012

CHI  NASCE  E  CRESCE  IN  ITALIA E’  ITALIANO

 Il Consiglio Comunale di MONZA

PREMESSO Che secondo l’ISTAT al 1 gennaio 2011 gli stranieri residenti hanno raggiunto la cifra di 4.570.317 con un incremento del 7,9% rispetto all’anno precedente.

Che alla stessa data i minori stranieri nati o cresciuti in Italia erano circa un milione, cioè quasi il 22% dei minori residenti nel nostro paese e che rappresentano il 7% della popolazione scolastica;

Che questi ragazzi crescono con i nostri figli, frequentano le nostre scuole, partecipano alle nostre attività sociali e ricreative. Che sono Italiani di fatto ma stranieri per la legge Italiana (legge n. 91 del 1992) che li obbliga a risiedere in modo continuativo in Italia fino a 18 anni per ottenere la cittadinanza Italiana; Che in nessun stato Europeo esiste una legge così ostile nei confronti dei minori; Che bisogna preparare questi figli dell’immigrazione ad essere membri della nostra comunità con i relativi diritti e doveri;

CONSIDERATO Che, per adeguare la normativa della cittadinanza è opportuno ampliare i requisiti di concessione della cittadinanza italiana basandoli sul principio dello Ius Soli  in sostituzione di quello dello Ius Sanguinis al quale si ispira invece la normativa vigente. Rendendo cosi possibile l’ottenimento della cittadinanza italiana ai bambini nati o cresciuti Italia da genitori non italiani.

Che in tal modo si eviterebbe il crearsi di situazioni paradossali nelle quali questi bambini, nati o cresciuti nel nostro Pese, che per cultura e formazione si sentono italiani crescano con un senso di estraniazione dal contesto che sentono essere il loro, con ripercussioni negative sulla effettiva possibilità di un processo di integrazione e di inserimento sociale del minore.

Che in tal modo si produrrebbe, un atto nell’interesse dello Stato Italiano e fondamentale per favorire, consolidare e rafforzare il percorso di integrazione e radicamento avviato positivamente nel nostro territorio dalle persone di origine straniera che stabilmente vi abitano e intendono, con pari diritti e doveri, partecipare alla vita culturale e socio-politica del Paese.

Impegna il consiglio comunale, il sindaco e la giunta

ad attivare tutti gli atti e procedure necessarie a sostegno del riconoscimento della cittadinanza italiana per Ius Soli ai figli nati in Italia da entrambi genitori stranieri regolarmente residenti e ai ragazzi arrivati in Italia adolescenti, figli di cittadini non italiani regolarmente residenti, che abbiano qui compiuto un ciclo scolastico.

Impegna altresì il Presidente del Consiglio Comunale

a trasmettere ai Presidenti di Camera e Senato e ai Capigruppo dei Partiti politici presenti in Parlamento la presente delibera

lunedì 16 aprile 2012

Lo scivolo non basta

L’utilizzo dei diversi servizi presenti sul territorio è indicativo del grado d’integrazione sociale e di coinvolgimento alla vita quotidiana di tutte le persone; se noi consideriamo la città come la forma di governo più vicina ai cittadini e sicuramente a lei che spetta il compito di fare in modo che i beni e i servizi presenti sul territorio siano in grado di rispondere alle esigenze di tutti.

Un grande filosofo scriveva” di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie ma la risposta che da ad una tua domanda.

In questo contesto molti, pensando alle persone diversamente abili, pongono di diritto il problema delle barriere architettoniche che, seppur largamente riconosciuto e molto sentito da tutte le amministrazioni comunali, sviluppa di solito una serie di soluzioni progettuali finalizzate tuttavia a risolvere principalmente il problema negli edifici pubblici o nelle zone pedonali.

Tutto questo ignorando però che la facoltà di libero accesso, alle risorse sociali, allo sport, agli spazi di verde pubblico, di svago e di divertimento, rientra fra i diritti fondamentali di tutti gli individui e quindi anche delle persone diversamente abili.

Questo sistema di agire è il tipico risultato di un antico pensiero che esprime una riduttiva convinzione sulle necessità essenziali di alcune persone.

Ancora oggi si fatica a considerare, la partecipazione sociale, come un bisogno
primario che passa sì attraverso lo scivolo sul marciapiede e la porta più larga ma che poi trova la sua massima espressione nei luoghi, teatro da sempre, dell’età evolutiva di ciascuno di noi.

Il vero problema sono quindi le barriere mentali e culturali che si sono create intorno a queste persone e che purtroppo trasformano la disabilità in handicap relegando le stesse inevitabilmente in una condizione di emarginazione sociale.

Per eliminare questo tipo di barriere è necessario avviare un processo di grande cambiamento culturale che deve mettere la persona, in quanto soggetto fisico con tutti i suoi diritti, al centro delle nostre attenzioni.

La strada verso l’integrazione impone anche un diverso modo di intendere la persona diversamente abile che, non và vista solo come soggetto adulto, ma soprattutto come un bambino o un adolescente con tutte le necessità, le esigenze e i problemi che lo accompagneranno durante la sua crescita compreso quindi il diritto di giocare, divertirsi e frequentare gli spazi di socializzazione in un processo attraverso il quale formerà il proprio carattere sviluppando la propria identità.


lunedì 2 aprile 2012

Progetto di vita

Art.1 legge 328

 La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. (L.328)

In questo articolo si fa riferimento alle condizioni di bisogno delle persone, ma si parla soprattutto di qualità della vita, pari opportunità e di diritti.
La riflessione la vorrei fare ponendo le due questioni Diritti e Bisogni su piani differenti.
Va ricordato che mentre i bisogni sono per definizione individuali, i diritti, sempre per definizione, sono collettivi.
Nel corso degli anni, a partire dalla scrittura della nostra costituzione, a cui a fatto seguito la Convenzione Onu sui diritti dell’uomo, abbiamo sentito più volte il bisogno di ribadire i diritti del suo elemento unico fondante; l’uomo.
Ecco allora una convenzione contro la discriminazione razziale, contro la discriminazione nei confronti della donna, contro la tortura, a favore dei diritti dei fanciulli, a favore dei lavoratori migranti e delle loro famiglie e, ultima di tempo, a favore dei diritti delle persone con disabilità.
Queste ulteriori, e comunque importanti, specifiche convenzioni trattano di aspetti che fanno parte, dell’essere umano, perché le persone di tutte le etnie e culture sono uomini, perché le donne sono umanità, perché i bambini sono futuri uomini, perché i lavoratori e le persone che dipendono dal frutto del lavoro sono uomini, perché le persone disabili sono uomini. Ma allora perché il bisogno di altre convenzioni? Perché agli stati progrediti, democratici, tecnologicamente avanzati, va ribadito il concetto dei “diritti dell’uomo”?
Forse perché si è lasciato campo ad una cultura che marcava le differenze e ad uno stato sociale che per distinguersi aveva bisogno di creare differenze.
Ma quali sono le reali differenze fra le persone oggetto di tali convenzioni, le cosi dette più deboli e gli altri?  Nessuna nella sostanza.
Ma c’è però qualcosa che li accomuna e che si chiama “progetto di vita”  e che accompagna ciascuno di noi. Prefigurarsi un progetto di vita non è appannaggio solo di pochi, ma una necessità di tutti.
Certo, esistono poi delle variabili che possiamo riportare come specificità per i soggetti più deboli e che sono le strategie necessarie, da mettere in campo perché il progetto si realizzi. Questa dovrebbe essere la competenza dei servizi, degli enti, delle professionalità coinvolte. Trovare strategie mirate, create ad hoc perché il progetto possa svilupparsi e crescere con la persona, ciascuno con tutti i suoi limiti.
Il disabile ha il diritto di stare in società mentre non è un diritto della società decidere di integrarlo. Io parto dal presupposto che quel bambino deve stare a scuola, così com’è; è difficile? Allora io intervengo sul come trovare le strategie.”
Continuare poi a parlare di inclusione è sbagliato, cosi facendo si rafforza la convinzione che c’è qualcuno che sta fuori.
Serve fare comunità, con una politica sociale che operi con interventi affinché nessuno resti escluso. Un progetto di vita che renda la persona parte di tutto.
La città, che è la forma di governo più vicina ai cittadini, ha il compito di promuovere e sostenere questo progetto, in tutte le sue forme e dinamiche, e come se prendesse il cittadino per mano fin dalla nascita per accompagnarlo nelle fasi della sua di vita, fino al delicato periodo della vecchiaia, adoperandosi affinché i Diritti non si trasformino in bisogni.
E all’interno di questo progetto si incastra tutto il resto.
Il progetto di vita, quindi, è il vero (e forse unico) elemento unificante tra le persone: il progetto di vita dovrebbe dunque costituire lo strumento principale attraverso il quale una politica sociale mette al centro la persona tenendo conto delle diverse fasi della sua vita.
Questo è lo stile che dovrà differenziale la politica sociale del futuro, passando attraverso un doveroso confronto sulla politica del presente. Se non si farà questo si continuerà a dar voce a chi, per garantire la normalità, crea insanabili disuguaglianze.

giovedì 15 marzo 2012

Barriere architettoniche o culturali?

L’utilizzo dei diversi servizi presenti sul territorio è indicativo del grado d’integrazione sociale e di coinvolgimento alla vita quotidiana di tutte le persone; se noi consideriamo la città come la forma di governo più vicina ai cittadini e sicuramente a lei che spetta il compito di fare in modo che i beni e i servizi presenti sul territorio siano in grado di rispondere alle esigenze di tutti.

Un grande filosofo scriveva” di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie ma la risposta che da ad una tua domanda.
Una città che ascolta le domande delle minoranze traccia una via per migliorare la qualità della vita di tutti”

In questo contesto molti, pensando alle persone diversamente abili, pongono di diritto il problema delle barriere architettoniche che, seppur largamente riconosciuto e molto sentito da tutte le amministrazioni comunali, sviluppa di solito una serie di soluzioni progettuali finalizzate tuttavia a risolvere principalmente il problema negli edifici pubblici o nelle zone pedonali.

Tutto questo ignorando però che la facoltà di libero accesso, alle risorse sociali, allo sport, agli spazi di verde pubblico, di svago e di divertimento, rientra fra i diritti fondamentali di tutti gli individui e quindi anche delle persone diversamente abili.

Questo sistema di agire è il tipico risultato di un antico pensiero che esprime una riduttiva convinzione sulle necessità essenziali di alcune persone.
Ancora oggi si fatica a considerare, la partecipazione sociale, come un bisogno
primario che passa sì attraverso lo scivolo sul marciapiede e la porta più larga ma che poi trova la sua massima espressione nei luoghi, teatro da sempre, dell’età evolutiva di ciascuno di noi.

Il vero problema sono quindi le barriere mentali e culturali che si sono create intorno a queste persone e che purtroppo trasformano la disabilità in handicap relegando le stesse inevitabilmente in una condizione di emarginazione sociale.      
Per eliminare questo tipo di barriere è necessario avviare un processo di grande cambiamento culturale che deve mettere la persona, in quanto soggetto fisico con tutti i suoi diritti, al centro delle nostre attenzioni.

La strada verso l’integrazione impone anche un diverso modo di intendere la persona diversamente abile che, non và vista solo come soggetto adulto, ma soprattutto come un bambino o un adolescente con tutte le necessità, le esigenze e i problemi che lo accompagneranno durante la sua crescita compreso quindi il diritto di giocare, divertirsi e frequentare gli spazi di socializzazione in un processo attraverso il quale formerà il proprio carattere sviluppando la propria identità.