Narra la storia che, in tema di spazzatura, siamo progressivamente passati dal famoso e unico sacco nero, dove ci stava dentro di tutto, ai due sacchi, poi ai tre e poi separa la carta e poi tocca al vetro e poi occhio ai giorni e agli orari. Il tutto senza nessun tipo di ritorno anzi, in questa gestione creativa vi è pure il rischio di prendere una multa in caso di errore. Ma questa è la differenziata ci insegnano, un comandamento civile di grande effetto, che dal punto di vista del cittadino è sintomo di valore morale e coscienza civica, ma che nasconde in se insidie economiche da non sottovalutare. Nel frattempo il servizio è decisamente peggiorato, non risponde certo ai canoni previsti dal capitolato e continua a subire aumenti non giustificati. Nel frattempo, narra la storia, che oggi ci sentiamo accerchiati, assediati da un nuovo regolamento che pare un enciclopedia con le pagine mischiate tale, da far impallidire le Tavole di Eraclea. Un regolamento che entra a gamba tesa nella vita dei cittadini rubando spazio e aria. Ci assegnano d'ufficio una convivenza forzata con un sacco rosso, con un chip di riconoscimento, neanche fosse la valigetta dei missili. Ennesima dimostrazione di come l'arroganza di questa amministrazione si fa gioco della mediazione sociale. Ennesima dimostrazione di come la partecipazione è il principio di sussidiarietà spariscono perché, come diceva Hobbes, l’unità della volontà politica coincide con l’unicità fisica della persona che governa, poiché gli individui si riuniscono in una comunità politica solamente nel momento in cui rinunciano a gran parte dei loro diritti naturali a favore del sovrano. Ma noi non siamo un bancomat silente, noi ci faremo sentire e se non fosse sufficiente chiederemo aiuto ai SACCHI BLU DELL'ONU
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sabato 22 gennaio 2022
martedì 22 giugno 2021
Progetto di vita
E’ straordinario come in questi giorni alcuni rappresentanti della politica monzese si siano messi a parlare di sociale. In pochi però hanno posto l’accento sulla differenza tra Diritti e Bisogni. Va ricordato che mentre i bisogni sono per definizione individuali, i diritti, sempre per definizione, sono collettivi. Dal punto di vista giuridico-legale queste irrinunciabili sottolineature si sono concretizzate a livello di organismi di portata mondiale: l’ONU ad esempio. Nel dicembre 1948, viene scritta la Convenzione Onu sui diritti dell’uomo, immediatamente dopo un periodo storico ricco di eventi di estrema drammaticità. Ma dichiarare (o proclamare) i diritti dell’uomo non è stato sufficiente, perché nel corso dei decenni successivi si è presentata la necessità di ribadire, puntualizzare, specificare alcuni contenuti che, benché intrensicamente presenti nella prima convenzione, venivano o ignorati o sottovalutati. Ecco allora una convenzione contro la discriminazione razziale, contro la violenza nei confronti della donna, contro la tortura, a favore dei diritti dei fanciulli, a favore dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, a favore dei diritti delle persone con disabilità e, ultima, una proposta di legge che prevede:" Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“. Questi ulteriori, e comunque importanti documenti trattano di aspetti che fanno parte, e una parte fondante, dell’essere umano, perché le persone di tutte le etnie e culture sono uomini, perché le donne sono umanità, perché i bambini sono futuri uomini, perché i lavoratori e le persone che dipendono dal frutto del lavoro sono uomini, perché le persone disabili sono uomini, perche tutte le persone sono umanità a prescindere dal loro orientamento sessuale. Ma allora perché il bisogno di altre convenzioni? Perché agli stati progrediti, democratici, tecnologicamente avanzati, va ribadito il concetto del “diritto dell’uomo”? Si è creata la necessità di avere una apposita convenzione per i diritti di queste persone perché si cominciasse a pensarle come uomini con prospettive di vita e di realizzazione personale e sociale pari a tutti gli altri. Ma è un segno di civiltà o una sconfitta? Forse perché si è lasciato campo ad una cultura che marcava le differenze e ad uno stato sociale che per distinguersi aveva bisogno di creare differenze. Ma quali sono le reali differenze fra le persone oggetto di tali convenzioni e gli altri? Nessuna nella sostanza. Ma c’è però qualcosa che li accomuna e che si chiama “progetto di vita” e che accompagna ciascuno di noi. Prefigurarsi un progetto di vita non è appannaggio solo di pochi, ma una necessità di tutti. Certo, esistono poi delle variabili che possiamo riportare come specificità per alcuni soggetti e che sono le strategie necessarie, da mettere in campo, perché il progetto si realizzi. Questa dovrebbe essere la competenza dei servizi, degli enti, delle professionalità coinvolte. Trovare strategie mirate, create ad hoc perché il progetto possa svilupparsi e crescere con la persona, ciascuno con tutti i suoi limiti. Il disabile, ad esempio, ha il diritto di stare in società mentre non è un diritto della società decidere di integralo. Io parto dal presupposto che quel bambino deve stare a scuola, così com’è; è difficile? Allora io intervengo sul come trovare le strategie.” Continuare poi a parlare di inclusione è sbagliato, cosi facendo si rafforza la convinzione che c’è qualcuno che sta fuori. Includere significa far entrare qualcuno o qualcosa in una serie o in un gruppo. Questo qualcuno, quindi, sta fuori, è esterno ed è necessario promuovere azioni ed interventi che lo rendano parte di un tutto. Se per definizione, non fosse considerato “fuori”, l’azione da promuovere sarebbe finalizzata a mantenerlo all’interno, dove ha un suo posto e una sua funzione ben chiara e stabilita. Ecco che allora serve fare comunità, con una politica sociale che operi con interventi affinché nessuno resti escluso. Un progetto di vita che renda la persona parte di tutto. La città, che è la forma di governo più vicina ai cittadini, ha il compito di promuovere e sostenere questo progetto, in tutte le sue forme e dinamiche, adoperandosi affinché i Diritti non si trasformino in bisogni. Questo progetto è trasversale a qualunque cosa (scuola, gioco, sport, cultura ecc). Il progetto di vita, quindi, è il vero (e forse unico) elemento unificante tra le persone: il progetto di vita dovrebbe dunque costituire lo strumento principale attraverso il quale una politica sociale mette al centro la persona tenendo conto delle diverse fasi della sua vita. Questo è lo stile che dovrà differenziale la politica sociale del futuro, passando attraverso un doveroso confronto sulla politica del presente. Se non si farà questo si continuerà a dar voce a chi, per garantire la normalità, crea insanabili disuguaglianze.
lunedì 22 maggio 2017
Evelyn Beatrice Hall, la campagna elettorale e gli strumenti della democrazia
martedì 21 febbraio 2017
PD or not PD e il rumore della politica
E chi va via (dissente) perde il posto all’osteria, salvo poi lamentarsi se il disagio e il dissenso assumono carattere e forme poco aristocratiche, lontane dal bon-ton in giacca e cravatta. E il tempo scorre inesorabile tra la ricerca di un profilo alto e una caduta in basso. Ogni tanto qualche nostalgico, con il grembiulino scolastico della Gelmini, e in perfetto stile “non è mai troppo tardi” ci ricorda che i salari sono bassi e la pressione fiscale troppo alta e se si continua cosi potrei anche arrivare ad esprimere il mio dissenso nel rispetto del ruolo e delle istituzioni che sono chiamato a rappresentare senza mai scadere nella forma espressiva di insulto o di vilipendio e bla,bla bla……..
venerdì 27 gennaio 2017
Il Veliero, un viaggio tra disabilità e cultura
x info festival nazionale
http://www.ilveliero-onlus.org/wp/festival/