venerdì 14 giugno 2013

Violenza contro le donne ( Femminicidio)

 
Prima di entrare nel merito della mozione, vorrei esprimere una riflessione che potrebbe anche non trovare consenso in quest'aula.

L’umanità nei suoi contesti istituzionali internazionali, ha avuto bisogno più volte di ribadire i diritti del suo elemento unico e fondante: l’uomo. Dal punto di vista giuridico-legale queste irrinunciabili sottolineature si sono concretizzate a livello di organismi di portata mondiale: l’ONU ad esempio.
Nel dicembre 1948, viene scritta la Convenzione Onu sui diritti dell’uomo, immediatamente dopo un periodo storico ricco di eventi di estrema drammaticità come la nascita del nazismo e del fascismo, l’ascesa di altre dittature ed infine lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Ma dichiarare (o proclamare) i diritti dell’uomo non è stato sufficiente, perché nel corso dei decenni successivi si è presentata la necessità di ribadire, puntualizzare, specificare alcuni contenuti che, benché intrensicamente presenti nella prima convenzione, venivano o ignorati o sottovalutati. E allora una convenzione contro la discriminazione razziale, contro la discriminazione nei confronti della donna, contro la tortura, a favore dei diritti dei fanciulli, a favore dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, a favore dei diritti delle persone con disabilità e oggi contro ogni forma di violenza sulle donne.
Questi ulteriori, e comunque importanti, specifiche convenzioni trattano di aspetti che fanno parte, e una parte fondante, dell’essere umano, perché le persone di tutte le etnie e culture sono uomini, perché le donne sono umanità, perché i bambini sono futuri uomini, perché i lavoratori e le persone che dipendono dal frutto del lavoro sono uomini, perché le persone disabili sono uomini. Ma allora perché il bisogno di altre convenzioni? Perché agli stati progrediti, democratici, tecnologicamente avanzati, va ribadito il concetto del “diritto dell’uomo”?
Si è creata la necessità, frutto di una drammatica esplosione del fenomeno violenza nelle sue molteplici declinazioni, di ratificare una convenzione contro la violenza sulle donne (e qui ci tengo a precisare che, a prescindere dalla locuzione donna, il dramma violenza sfonda i confini dell'età coinvolgendo purtroppo anche la fascia dei più piccoli) perchè si cominciasse a persarle come persone con prospettive di vita e di realizzazione personale e sociale pari a tutti gli altri. Ma siamo proprio sicuri che questo è un segno di civiltà o piuttosto una segno di sconfitta?      La dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993 nell'art.1, descrive la violenza contro le donne come «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata» La violenza contro le donne è una violenza di genere riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una violazione fondamentale dei diritti umani che trova una pretesa giustificazione nella distorsione culturale della relazione affettiva tra uomo e donna, nella asimmetria di potere che un genere esercita sull’altro.
Tornando all'oggi su questo dramma sociale del xx.mo secolo i dati si sprecano e ci raccontano tutta la dimensione di questo triste fenomeno. Le analisi degli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è diffusa nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo, la dove le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali dimostrando in maniera allarmante l'esplosione del fenomeno in tutte le sue forme, declinazioni e contesti sociali.
Insieme alla necessità e urgenza di potenziare tutte le strutture e le forme di assistenza a supporto delle donne maltrattate,(centri di ascolto e di assistenza, alloggi protetti, migliorare le sinergie fra apparati di controllo e repressione e altro ancora) ritengo fondamentale avviare un grande processo di riforma culturale attraverso campagne di prevenzione, sensibilizzazione e di educazione adottando tutte “le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini”.
Questo significa bonificare ogni forma di atteggiamento che mette a rischio “la concreta parità tra i sessi, rafforzando così l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne” dove ogni essere umano dovrà fare la sua parte, in tutti contesti istituzionali e non, nei luoghi di lavoro e divertimento, denunciando e isolando ogni forma di prevaricazione fisica e psichica.                  E qui anche le amministrazioni comunali sono chiamate a fare la loro parte.
Da qui parte la possibile strada che non solo porta le donne a sentirsi meno sole, in grado di superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile, ma anche quella che porta a consideraci un paese e un popolo più civile.
grazie



























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